LA FORCHETTA CHE DIVIDE I TRE MONDI
L'eccesso di calorie consumate dall'Occidente contagia l'Oriente mentre l'Africa resta denutrita
Cosa mangia il mondo? Cosa mangiano, oggi, gli oltre sei miliardi di esseri umani che affollano il pianeta? La risposta è complicata: fattori economici, sociali e climatici, abitudini alimentari e culturali non permettono una risposta univoca, ma una suddivisione per macro aree si può certo tentare. Cominciamo dunque dall'Occidente industrializzato, reduce dalle feste natalizie dove ha di certo sforato le tabelle, anche le più indulgenti, sui fabbisogni energetici procapite. Ebbene, l'Occidente ha in media una disponibilità, secono la Fao, di 3.340 calorie a testa. Il che non significa che ognuno di noi le ingurgita tutte: in Italia, per esempio, il consumo medio è sulle 2.400 calorie a testa a fronte di un fabbisogno calorico individuale che varia da persona a persona in una forbice che va dalle 1.800 alle 2.400 ( quest'ultimo dato è per un uomo adulto con un'intensa attività fisica).
L'Occidente, dunque, mangia troppo e se da un lato non gli manca nessun micronutriente, si stanno facendo largo però patologie legate alla sovrabbondanza di cibo e all'eccessivo consumo di grassi saturi, sale, carboidrati raffinati, carne. Il sovrappeso e l'obesità negli Stati Uniti toccano punte del 60% tra gli adulti e del 30% tra i bambini, mentre avanza la sindrome chiamata " diabesity", una combinazione di obesità e diabete disastrosa per la salute.
L'eccesso di calorie sta diventando un problema anche nella seconda macro area, quella delle economie di transizione, in cui rientrano Paesi come molti di quelli che una volta erano parte integrante dell'Urss, oltre a quasi tutti i Balcani, a vaste zone dell'America latina o dell'Asia. In questo caso, però, le calorie in eccesso— quando ci sono — sono dovute a un'alimentazione fatta prevalentemente di carboidrati: cereali, pane, patate, che coprono il 60 70% del totale della dieta. Le proteine nobili, la carne, i latticini, per molta parte di queste popolazioni sono sulla tavola in occasioni eccezionali o addirittra mai.
«Per questo — spiega Laura Rossi, ricercatrice dell'Istituto nazionale di ricerca per la nutrizione e l'alimentazione esperta di politica nutrizionale dei Paesi in via di sviluppo e delle economie di transizione— la popolazione dei Paesi in transizione è spesso carente di elementi nutritivi importanti, come ferro, zinco, iodio, in generale sali minerali, oltre che, in alcuni casi come i Paesi caucasici dove il clima non permette di coltivare molta frutta e ortaggi, anche di vitamine. Inoltre, spesso non esiste un controllo di salute pubblica, per cui negli adulti, a un certo punto, si manifestano problemi legati alla cattiva nutrizione» .
Insomma, in questi Paesi si mangia, ma si mangia, a causa delle condizioni economiche, male. Le calorie provengono quasi tutte da carboidrati o grassi scadenti, le proteine sono poche, scarsissima, spesso, la frutta. E non di rado si ingrassa per l'eccesso di pane e patate, unico cibo che abbonda davvero. Inoltre in molti casi c'è un diffuso consumo di superalcolici come la vodka, la tequila e così via. Una situazione che apre la strada a malattie croniche, che si manifestano a partire da una certa età.
La terza macro aera è invece purtroppo accomunata da una grave malnutrizione, ed è quella dei Paesi in via di sviluppo, soprattutto della fascia africana centrale oltre che di alcune piccole aree particolari tipo la Corea del Nord. Qui, la popolazione ha in media a disposizione 2.000 calorie al giorno (il dato è, come abbiamo visto teorico), ma calcolando il gap tra la disponibilità e il consumo, la media procapite di calorie effettivamente assunte non va oltre le mille al giorno.
«In molti Paesi africani — spiega Laura Rossi — l'unico cibo a disposizone della popolazione è praticamente la manioca, un tubero che però ha una grande quantità di fibre, riempie la pancia ma dà poche calorie. In certi casi manca anche quella, e la situazione si fa drammatica. A volte ci sono frutta e verdura coltivate localmente. In questi Paesi c'è da un lato la carenza di elementi nutritivi importanti, ma dall'altro mancano proprio le calorie, con conseguenze pesanti soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione come i bambini e le donne in età fertile» . Anche miglio e sorgo, in queste aree, costituiscono una risorsa alimentare. In totale, i carboidrati costituiscono i due terzi della dieta. Un dato ci dà forse in breve l'idea della distanza che separa questomondo dall'Occidente più opulento ed esagerato: nel Ciad, una persona in media mangia in un anno 1,4 chili di carne, mentre negli Stati Uniti 124,7 chili ( in Italia circa 90 chili). Sfortunatamente, in alcune regioni del mondo dove la fame imperversa, non è nemmeno possibile pensare a soluzioni tipo il tecnocibo o gli Ogm, perché il problema sono piuttosto i conflitti, la situazione politica totalmente instabile e il caos sociale. Il Congo, uno dei Paesi in cui la popolazione soffre fortemente di malnutrizione, ha terre fertilissime, piogge abbondanti e sono possibili fino a quattro raccolti l'anno. Il fatto che la terra non venga coltivata non dipende dai fattori climatici o geologici, che possano essere risolti con la tecnologia, ma umani.
In quale angolo del mondo allora, la dieta è la migliore? Su quella mediterranea tradizionale, ricca di antiossidanti ed equilibrata nei nutrienti, ma che oggi viene osservata sempre meno a causa di un'alimentazione sovrabbondante e di un eccessivo consumo di carne, sono stati spesi fiumi d'inchiostro. Ma l'angolo del mondo dove si mangia meglio, se si deve giudicare dalla lunghezza della vita dei suoi abitanti, è l'isola di Okinawa, in Giappone. Lì i centenari e gli ultracentenari abbondano più che in ogni altra parte del pianeta: sono dieci ogni centomila abitanti e per questo Okinawa è stata spesso oggetto di studio. Sulla tavola degli isolani prodotti dei loro orti, tanto pesce, tofu ( il "formaggio" vegetale) ma fatto di alghe ( molto meno diffuso in loco è quello classico, fatto di soia), tè verde in quantità, lime, papaya, riso. O almeno così è stato per molte generazioni, comprese quelle degli odierni centenari. Oggi, invece, tra gli under 50 le abitudini si sono uniformate a quelle del resto del Giappone. Che comunque resta uno dei Paesi del mondo dove l'alimentazione è più salutare
Fonte: Il Sole 24 Ore 5 Gennaio 2006
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